I familiari e l’anziano affetto da demenza: se non ti riconosco più

Le demenze sono malattie insidiose  che spesso colpiscono la persona anziana, modificando il suo di  modo di percepire la realtà e anche le relazioni intorno a lui.  Non sempre è facile per un figlio, un  fratello, una moglie, rapportarsi all’anziano malato ed affrontare con lui questa situazione.  Le demenze, o disturbi neurocognitivi, costituiscono delle patologie  di tipo degenerativo   e sono dovute diversi fattori come  l’ Alzheimer,   patologie vascolari, danni alla zona frontotemporale, per citarne alcuni. Sono malattie molto invalidanti poiché comportano un decadimento delle funzioni cognitive come memoria, attenzione, linguaggio , pensiero astratto, che compromettono il funzionamento globale della persona . Questo determina  una progressiva limitazione dell’indipendenza dell’anziano e l’emergere di una serie di problematiche affettive e comportamentali, che modificano profondamente l’abituale modo di essere di quella persona. Non poter ricordare, non poter identificare correttamente gli elementi ambientali, non riuscire ad usare le parole, o a svolgere abituali pratiche quotidiane, produce man mano un forte senso di disorientamento e confusione mentale, fino a poter sperimentare allucinazioni e deliri. Nella demenza l’alterazione delle capacità cognitive comporta una diminuzione della capacità di costruire dei punti di riferimento utili per  interagire con l’ambiente, provocando nell’anziano vissuti di  angoscia, abbattimento, irritabilità e reazioni depressive. Possiamo quindi immaginare come per un familiare  possa essere difficile assistere e prendersi cura di un anziano affetto da  demenza. Sono infatti spesso i parenti quelli che si trovano più coinvolti nella cura del malato, il quale spesso resta a casa, necessitando di tutta una serie di attenzioni  comportamentali ed ambientali per rendere la vita vivibile a lui  e a chi lo assiste.  L’ambiente familiare  infatti subisce delle modifiche importanti, sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista relazionale, per riuscire a gestire la destrutturazione psichica e l’imprevedibilità comportamentale del  malato. I familiari si trovano nella situazione paradossale, di vivere una progressiva assenza psichica di qualcuno di significativo  che è ancora presente, ma non più come prima né per se stesso né per gli altri. L’elaborazione di questa sorta di lutto è un processo lento e doloroso che comincia con la diagnosi della malattia e prosegue man mano che l’anziano diventa sempre più compromesso nelle sue funzioni e nella sua personalità. Rendersi conto che il proprio familiare ha una malattia deteriorante è doloroso, ed è condizionato  dalle risorse e dalle esperienze personali, dalla storia dei legami familiari, come anche dai supporti disponibili per affrontare le difficoltà.  Le relazioni che fino ad allora avevano avuto determinate caratteristiche diventano più  complesse, necessitando di una ricapitolazione dei legami per trovare nuove risorse per affrontare la malattia. Non sempre questo è possibile, a volte la relazione con l’anziano malato era già compromessa, appesantita da eventi passati che avevano reso critico il rapporto. Le difficoltà relazionali  che magari  erano  state messe da parte, chiedono in questi casi  di essere riviste, per restare accanto al familiare malato e riuscire ad interagire con lui nei momenti difficili. Anche chi  ha sperimentato fino ad allora un buon rapporto con la persona, spesso si trova a  sentire di non avere le forze per affrontare la malattia, che rende quel genitore, quel compagno, sempre meno riconoscibile rispetto a come era stato fino ad allora. La vita dei familiari viene fortemente stravolta nei ritmi, nelle limitazioni della vita personale, nelle energie da dedicare al malato. Ci potrebbe essere la tentazione di mollare, di non farcela più poiché non si può arrestare il percorso della malattia e la frustrazione diventa sempre maggiore. Spesso ci si trova a dover affrontare vissuti dolorosi e difficili da elaborare, come l’ impotenza, la rabbia, un senso di solitudine, la vergogna.  Allo stesso tempo a volte si crede illusoriamente che la persona possa guarire e  magari   tornare come prima. Anche se non è facile affrontare questi sentimenti, è importante poterli condividere ed elaborare, per  valorizzare  quegli aspetti della relazione che non vengono alterati dalla disorganizzazione della malattia ma restano vitali ad alimentare i legami familiari, cosi importanti nella nostra vita.

Dott.ssa Angela de Figueiredo

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